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Specchio triste della Thailandia che ride
Nong Bua Lamphu - Isan - Thailand
Nonmeuamg, nucleo rurale, 500, 1000 anime? Le strade del centro paesano sono asfaltate, il che denota una propensione al migliorarsi, al modernizzarsi. La maggior parte delle case sono in stile tradizionale: palafittate, nella parte sottostante la struttura in legno gente e animali trovano sollievo dal torrido sole che inclemente scalda la terra di quest’angolo di mondo durante la stagione secca. Famiglie intere che dialogano, sedute su larghi piedistalli sopraelevati di mezzo metro dal suolo terroso e polveroso, in compagnia di galline e pulcini. Le donne indaffarate, vestite in sarong di seta e cuffie di lana, alimentano costantemente il fuoco per cucinare I molteplici pasti di una giornata tipica in cui gli uomini escono per lavorare i campi. Molte delle strutture abitazionali, dalle squisite caratteristiche antiche, sono malmesse, il loro pregiato legno mangiato dal tempo e dalla noncuranza. Qui si vive cosi, spensierati, e forse anche troppo.
Nonmeuang. Frazioncina direi, 30km dal paese, Naklang. Da lui separata da una strada piena di paurose buche che taglia in due una sterminata campagna che non vede fine. Verde, lussureggiante, dalle stupende tonalità di colori nella stagione delle pioggie, aspra ed incolore nella stagione secca. Forse insignificante per I vacanzieri stranieri, contornata da contadini non piu cosi tradizionali, e da nmerose vacche che denotano forti segni di malnutrizione, e che si cibano stanche dei pochi fili d’erba che spuntano dal terreno arido. Ma in quanti abitanti locali ci si chiede sono ancora legati a ciò che questa terra ai confini del mondo gli offre?
Naklang, 30km dalla città, la giovane Nong Bua Lamphu, scarsamente popolata, scarsamente servita, di scarso interesse per i turisti e per i Thai di altre regioni. A 700km da Bangkok! Eppure le vecchie generazioni ancora sembrano apprezzare le carattersistiche di questa terra e fanno di tutto per tenervici ancorata la gioventù. Ma questo è un luogo particolare; per citare un esempio, qualche anno fa dei lestofanti si impossessarono nella notte di qualche automobile e di parecchie mucche e batterono la corda indisturbati. I capi villaggio, ancora figure di una certa arcaica influenza qui, anche se vestiti moderni e se indossano orologi fatiscenti e occhiali da sole, si riunirono e decretarono. Numerose barriere ad abbassamento manuale vennero erette, e affiancate da gabbiotti in bambù nei quali i nuovi guardiani dell’ordine potessero riposare. Cosicché da allora si osservano queste sbarre di ferro a distanze che vanno dai due ai dieci kilometri l’una dall’altra che verrebbero abbassate a mano grazie ad una coordinazione tramite walkie-talkies in modo di rallentare la fuga dei malfattori in caso ci fosse un furto. Roba da altri tempi.
I campi sono il mondo dei giovani. Qui, dove non vi è nessun locale pubblico e dove gli unici negozi sono le piccole botteghe locali spesso sprovviste di beni di consumo e care oltre la media. Primo ristorante, o karaoke bar, o bar, o videoteca, o sala giochi, o Internet point, è a 30km di distanza, a Naklang. I campi e la musica; trasmessa tamburellante, insistente e assordante da altoparlanti appesi ai pali della luce del villaggio, dalle poche auto circolanti in zona, dalle case della gente. La solita noiosa nenia composta da strimpellate di organo Hammond, batteria elettronica, basso computerizzato e chitarrine elettriche, nenie cantate da voci maschili femminilizzate che esprimono i soliti concetti d’amore, di tradimenti, di drammi anticipati sui qualli la gente puo basare la propria vita. Su accettazioni collettive.
I campi, la musica, e l’alcol; consumato senza vergogna ogni qual volta che qualcuno, giovane o meno, possa permetterselo. Scavalca pure i fabbisogni primari come il cibo ed il mantenimento dei figli. È il primo della corta classifica degli svaglhi del luogo. L’amore passa in secondo luogo; dovuto all’alcol, famiglie intere vivono drammi interminabili, vengono spezzate e ricomposte, con le donne ad avere spesso la peggio. La vita passa in secondo luogo; coltelli spianati e pistole risolvono troppo spesso litigi iniziati stupidamente a causa di eccessive libagioni. Alimentati da velenosi miscugli di whisky localmente prodotti, i loro lezzi spesso presenti nell’aria dopo notti di bagordi.
Cosi si è vissuto il festival annuale del Bun Ban Fai, durante il quale si lanciano razzi in cielo per dare lo speranzoso benvenuto alle imminenti piogge che propizieranno i raccolti del riso, coltivazione primaria della zona. In un ambiente misto di allegria, ferocia e frustazione, gruppi di donne giovani convinte dai capi villaggio a vestirsi controvoglia di costumi che oramai hanno perso la tradizionalità danzano svogliate, goffe ed incapaci ai ritmi martellanti scanditi ad alto volume da giganteschi altoparlanti fissati sul retro di bardati pick up che fungono da carri allegorici. Camion più grandi trasportano giovani già ubriachi in un primo pomeriggio primaverile, i quali a loro volta ballano in stile disco-dance e distribuiscono sorrisi ricercati, mentre le ragazze offrono celestiali visioni di cosce al vento al pubblico sottostante, che apprezza e a volte ringrazia con piccole offerte in denaro, o in lattine di birra. Una carovana di carri che si muove lentamente sotto il sole a 45 gradi che scalda corpi e teste.
Ai lati della sfilata, la popolazione è alticcia; ragazzotti prepotenti dai visi impiastricciati di una mistura di borotalco e carbone che gli intensifica l’aria collerica, cercano sguardi amici e sguardi nemici. Per fraternizzare e scambiare bevute con gli uni, e per litigare e prendersi a pugni con gli altri. Poco possono fare gli anziani del villaggio se non consigliare cautela estrema a chi per un motivo o per l’altro non è carburato a sufficenza ed è qui solo per godersi la sfilata, come me. E magari è solo un episodio, due giorni vissuti cosi poi tutto tornerà alla normalitaà, alla noia mortale di sempre. Ma da questo episodio affiorano caratteristiche che non mi lasciano tranquillo. In questo universo piccolo e apparentemente felice, il politico di spicco del momento offre fondi alle frazioni che riescono a mettere insieme i gruppi tradizionali piu appariscenti e numerosi. Un ritorno forzato alla Thailandia antica, all’unione tra vicinato, alla non divisione famigliare; stare uniti, cibarsi dello stesso cibo, coltivare gli stessi ortaggi, godere della stessa felicità ed essere fieri. Un progredire freddo e calcolato, d’insieme. Tramandarsi tutto ciò, ringraziare la mano che provvede ed essere fedeli al partito.
Un atmosfera piena di ipocrisia galoppante, nella quale albergano nascoste ambizioni senza limiti, dove per accaparrarsi una tranquillità economica che non basta mai, alcune famiglie non esitano a mandare figlie allo sbaraglio in luoghi turistici a fare quel che ben sappiamo per potere alimentare fabbisogni spesso non primari di chi è rimasto a casa, di figli fatti e abbandonati, di famiglie senza scrupolo che vogliono la macchina, la televisione satellitare ed il telefonino ultima moda. O per accaparrarsi terreni, per costruire nuove case, per continuare con le ‘tradizioni’ di questa ambigua terra.
Una gerarchia crudele tramandata di generazione in generazione, l’accettazione silenziosa di un sistema di vita scavalcato ma non ancora pronto ad un cambio netto. Un sistema pagato con l’indifferenza, con la crescita di nuove generazioni confuse il cui carattere è forgiato a dismisura, forte ma incredulo di ogni sviluppo futuro ed incapace a reazioni coerenti.
Nonmeuang, Isan; una camera degli specchi che riflette all’infinito immagini non del tutto nitide, in netto contrasto con la Thailandia turistica, ed aperte ad un opinione soggettiva. Vedere per credere.