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Racconto da Koh Lanta
Krabi - Thailandia

 

 

Eccomi qui alla mia ennesima visita mensile alla bellissima isola di Koh Lanta. Sapeste che cambio ha fatto da quando la visitai 10 anni fa. Ma non scrivo per raccontare dello sviluppo e del turismo. Voglio raccontarvi di ciò che tutt’oggi mi affascina, della semplicità di un luogo nonostante ciò che gli ruota attorno.

Vivo in un bungalow in riva al mare, e la storia che mi ci ha portato è tanto semplice quanto rara; visto che il mio impegno a Koh Lanta si stava intensificando, il mese prima stavo cercando una sistemazione diversa alla solita stanza sporadica di una guest house. Avevo girato il nord dell’isola in un infinita ricerca, volevo una stanza che fosse comoda per andare in ufficio, a Saladan, ma allo stesso tempo vicina ad una spiaggia. Fino a quel momento non ero stato fortunato. Girando il sud in motorino, in un giorno libero, tra una spiaggia e l’altra intravidi un’area coperta da una tettoia in cima ad un colle. Al lato, una ventina di bungalow, 10 in prima linea con vista stupenda sul mare, e 10 in seconda linea. Avevo giusto da andare in bagno. Salii la strada ghiaiata ed arrivato in cima non vidi nessuno. Sedie e tavoli in legno erano mangiati dalle termiti, ragnatele ovunque coprivano il sottotetto, il tetto aveva squarci dove mancavano tegole, il tutto era lasciato andare. La vegetazione era rigogliosa ma mal tenuta, priva della cura necessaria di capaci giardinieri. Mi incamminai verso i bungalow cercando un bagno per liberare la vescica. La maggior parte delle strutture era disastrata, i tetti crollati, la vegetazione secca, sporcizia ed immondizia sotto le palafitte che li sorregevano. Se ne salvavano solo un paio, i due all’estremo sud del complesso, che per una ragione oscura erano rimasti intatti e sembrava fossero stati abitati fino ad un tempo recente.

Mi liberai del bisogno dietro una siepe e rientrai verso il motorino. Alla reception erano apparsi nel mentre un paio di ragazzi, jeans e maglietta sporche, seduti per terra, che mangiavano e discutevano. Mi presentai e subito dopo chiesi se i bungalow ancora sani erano in affitto. Mi guardarono straniti e dissero di no, che il proprietario di questo resort in disuso era di Bangkok e non gli interessava più il business. Così aveva asciato loro due di guardia pagandogli un fisso mensile; abitavano nel bungalow adiacente alla reception. Peccato, mi piaceva l’ultimo in fondo, dissi senza troppa convinzione. Si misero a combafulare in Thailandese, io ero quasi rassegnato ad andarmene quando quello che sembrava il più sveglio disse aspetta, andiamo a vedere. Mi accompagnò fino al bungalow in fondo al sentiero, e mi mostrò l’interno, chiuso da una porta in legno crepata in più parti. Non era poi messo cosi male, con un po’ di accorgimenti avrebbe potuto darmi la dimora che necessitavo. Tornammo alla reception e il ragazzo mi disse, nel poco inglese che sapeva, che il prezzo al mese era di 1,000 Baht, che non c’erano servizi reception o lavanderia o ristorante, ma che acqua e luce arrivavano con regolarità e che mi sarei dovuto gestire in autonomia senza disturbare loro. Gli diedi 1,000 Baht per il primo mese, senza nemmeno pensarci, e presi possesso della chiave.

La settimana che seguì la passai a ripristinare la mia nuova dimora, prendendo in prestito arredamento, materasso e quadri decorativi dagli altri bungalow in disuso; mi colpì uno di quegli enormi ventagli Thailandesi sui quali è disegnata una scena naturale con elefante e foresta, che diventò il pezzo decorativo principale, appeso sul muro dietro la spalliera del letto. Presi in prestito una serie di attrezzi arrugginiti dai due ragazzi, e mi costruii un tavolino in legno a ridosso della ringhiera del balcone che dava sulla spiaggia sottostante e sul Mare delle Andamane. In breve tempo iniziai a socializzare con i pescatori del conglomerato di case poco distante e con le loro comari musulmane che ogni giorno mi cucinavano pesce fresco al BBQ. Mi facevo infinite e lente passeggiate sulla sabbia a diversi orari del giorno. Vivevo un sogno solitario, un sogno povero e semplice, ma sempre un bel sogno: vivere in riva al mare.

È l’alba. Dalla terrazza del bungalow osservo uccelli tropicali che cinguettano e svolazzano tra le folte piante, la sola cosa tra me e il mare, che oggi è una lastra piatta. Il sole sorge alle mie spalle ogni mattina, e ogni pomeriggio tramonta davanti a me in una distesa d’acqua cosi immensa che ti vengono a far male gli occhi se la fissi troppo a lungo. Le roccie multicolore che affiorano qua e là sulla spiaggia vengono colpite dalle correnti marine che pazientemente le trasformeranno in sabbia, bollente di giorno e fredda la notte.

Una anziana signora con una t-shirt color arancio a mo di turbante picchietta un piccolo piccone sugli scogli per stanare molluschi; centinaia di granchi scavano buchi di diverse dimensioni sul manto sabbioso; due pescatori tentano la sorte mentre un terzo rammenda le nasse per le aragoste. C’è pace nell’aria. Le piante sono in fiore. È un orario perfetto questo, per meditare, per godersi l’essenza del luogo, del momento. Tra qualche ora sarà cosi caldo da essere quasi fastidioso. Comincerà il viavai di gente per la strada, e cominceranno i miei impegni ed appuntamenti.
Tolgo la moca dal fuoco e mi verso il caffè. Una farfalla gialla e marrone si esibisce in un volo acrobatico davanti a me. Un piccolo scoiattolo dalla lunga coda salta tra un ramo e l’altro, poi scompare nel verde. Sono fortunato: riesco sempre a godermi attimi di pace nonostante tutto.
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